Beyoncé is the new country
Il nuovo album di Beyoncé - Cowboy Carter - è uscito. Ed è un salto verso un genere che per circa un secolo, fuori e dentro gli Stati Uniti, è stato inquadrato nello stereotipo della “musica per maschi bianchi”, tendenzialmente conservatori. Ne ho scritto sul Domenicale del Sole 24 Ore.

Qualche giorno prima dell'uscita dell'ottavo disco di Beyoncé, ho scritto un articolo sul Domenicale de Il Sole 24 Ore, nel quale ragionavo sulla natura dei due singoli serviti come antipasto: 16 Carriages e Texas Hold'Em. Poi il 29 marzo è arrivato Cowboy Carter... e dentro non c'è solo la rivendicazione delle "radici” (l’aveva già fatto con Lemonade, nel 2016, in cui omaggiava il popolo Yoruba dell’Africa Occidentale) e la volontà di ricordare “all’America che quella musica, in realtà, dovrebbe essere patrimonio condiviso (...) perché in effetti la storia del country si intreccia con la nascita stessa degli Stati Uniti d’America, in una contaminazione tra Europa e Africa che merita di essere riscoperta, raccontata e assimilata”. C'è molto di più: duetti epocali con Willie Nelson e Dolly Parker, una fortissima cover del classicone Jolene, e una legione di collaborazioni di prim'ordine tra cui Linda Martell, Stevie Wonder, Chuck Berry, Miley Cyrus, Post Malone, Jon Batiste, Rhiannon Giddens, Nile Rodgers, Robert Randolph, Gary Clark, Jr., Willie Jones, Brittney Spencer, Shaboozey, Reyna Roberts, Tanner Adell e Tiera Kennedy.